(USA/1990) di Garry Marshall (119')
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[Dopo Harry ti presento Sally], l’altra commedia di clamoroso successo che chiude gli anni Ottanta, confermando il rilancio del genere, è una versione losangelina e bassomimetica di My Fair Lady. Questa Eliza Doolittle fa la puttana e batte l’Hollywood Walk of Fame, dalla stella di Bob Hope a quella di Ella Fitzgerald. Il suo pigmalione è un gentile ma spietato squalo della finanza di New York, il cui impegno nel riciclare compagnie è così pressante da indurlo a delegare gran parte del suo lato-Higgins: la ragazza di strada sarà educata allo stile dei piani alti da un impeccabile maître d’hotel, ennesima variazione al modello lubitschiano. [...] Pretty Woman è perfetta commedia di sintesi, centrifuga di citazioni smaltate, estrema semplificazione della formula romantica. Se i film di Nora Ephron (con i loro corollari) stanno determinando lo stile del decennio sul versante più autoriale e parzialmente indipendente, Pretty Woman è la prima romantic comedy che fa pienamente sua l’estetica blockbuster: narrativa senza asperità e trionfante exploitation divistica. [...] Il centro del film di Garry Marshall vuol essere, o infine risulta, una sorta di insolente fotogenia, e non c’è misura scenografica che possa sopraffare o solo ridurre di scala la centralità di Julia Roberts svettante, elastica e luminosa, autentica bellezza della sua generazione hollywoodiana che irrompe qui sullo schermo e nella hall d’un albergo di lusso con falcate folgoranti (stivali lucidi su cosce nude). Speculare, simmetrico, letteralmente alla sua altezza è Richard Gere, il cui potere seduttivo ha però meno a che fare con l’esibizione d’un corpo-simbolo quanto con la capacità di irradiare l’idea del denaro – di un’americana, demiurgica solvibilità economica. [...] Senza incrinare la propria glassata piacevolezza, Pretty Woman diceva allora qualcosa di preciso sui costumi e i consumi, sulle patine ideologiche e il compiaciuto cinismo dei suoi anni. Per questo e per Julia Roberts, infine, il film rimane – più del raffinato gioco di incastri rétro di La storia fantastica (Rob Reiner, 1987), più dell’adrenalinica fiaba musical di Flashdance (Adrian Lyne, 1983) – la più memorabile tra le Cinderella stories dell’epoca.
Paola Cristalli
Quando vidi Julia Roberts per la prima volta rimasi impressionato, è una persona illuminata da dentro. Sembrava come se avessi acceso una lampadina e che il sole fosse entrato nella mia stanza. Abbiamo chiacchierato nel mio studio fino a che il regista non mi ha chiamato per chiedermi se volevo realmente girare il film dopo aver conosciuto Julia. Voleva sapere se c’era chimica tra di noi. Lei, impaurita, mentre stavo parlando al telefono, mi scrisse su un pezzo di carta “Per favore, digli di sì”, e io accettai [...] È una storia d’amore fra due persone che si incontrano per caso, due persone che provengono da culture diverse e sono attratte da qualcosa che non sono né i soldi né il mondo che li circonda. La bellezza di tutto ciò sta proprio nel fatto che ciascuno si stacca dal suo mondo per darsi all’altro: questo è il messaggio del film, se deve essercene uno.
Richard Gere