Abbiamo accennato in precedenza al fatto che i testi citati nel romanzo non sempre sono documenti reali. In alcuni casi Eco “costruisce” una falsa documentazione, coerente con quanto narrato. Tutta la trama in realtà ruota attorno a un’operazione di questo tipo, ma prima di affrontare il discorso sul secondo libro della Poetica vediamo un caso ben esemplificativo del gioco citazionistico messo in scena dall’autore.
Durante l’esplorazione della biblioteca compiuta nel quarto giorno di soggiorno all’abbazia Adso, reduce dall’esperienza erotica della notte precedente, scova sugli scaffali un codice dal titolo Speculum amoris, «di fra Massimo da Bologna», che riporta «citazioni di molte altre opere, tutte sulla malattia d’amore» (p. 325). Per chi come noi è a caccia dei documenti citati nel romanzo per rintracciarli nelle raccolte dell’Archiginnasio l’esca è troppo ghiotta. Ci mettiamo alla ricerca ma nessun catalogo riporta quest’opera. Nasce il sospetto che Eco stia sfidando il lettore ad andare un po’ più a fondo, a fare una piccola investigazione. Oggi, ma all’uscita del romanzo la cosa era certamente molto meno semplice e banale, basta ampliare un po’ la ricerca e la rete restituisce la spiegazione del piccolo inganno, contenuta in un articolo di Donald McGrady, Fra Massimo da Bologna and His Speculum amoris in Il nome della rosa («Quaderni d’italianistica», XIII, 1992, n. 2, p. 265-272). Tutte le frasi lette da Adso appartengono a opere reali, ma il codice dello Speculum amoris non è mai esistito. L’opera che raccoglie le citazioni è infatti il volume di cui vedete la copertina a fianco: La “malattia d’amore” dall’Antichità al Medioevo, pubblicato nel 1976 da Massimo Ciavolella. Che, ci informa McGrady, è professore a Toronto ma «did study briefly at the University of Bologna» (p. 271) e può quindi fregiarsi del toponimo affibbiatogli da Eco. Eco trasforma quindi un volumetto uscito in libreria appena quattro anni prima in un manoscritto vecchio di secoli giacente sugli scaffali di una biblioteca-labirinto. Altri casi simili si trovano nel romanzo e McGrady ne dà conto, ma è ormai ora di affrontare la vera trovata geniale per un testo come Il nome della rosa, libro sui libri per eccellenza: creare una trama in cui un libro mai esistito è sia il movente che l’arma del delitto.
Massimo Ciavolella, La “malattia d'amore” dall'Antichità al Medioevo, Roma, Bulzoni, 1976.
Collocazione: C.P.P.L. 2124