«Fui colpito, in una pagina in cui iniziava il santo evangelo dell’apostolo Marco, dalla immagine di un leone. Era certamente un leone, anche se non ne avevo mai visti in carne e ossa, e il miniatore ne aveva riprodotto con fedeltà le fattezze, forse ispirandosi alla vista dei leoni di Hibernia, terra di creature mostruose, e mi convinsi che questo animale, come d’altra parte dice il Fisiologo, concentra in sé tutti i caratteri delle cose più orrende e maestose a un tempo. Così quella immagine mi evocava insieme l’immagine del nemico e quella di Cristo Nostro Signore, né sapevo in quale chiave simbolica dovessi leggerla, e tremavo tutto, e per il timore, e per il vento che penetrava dalle fessure delle pareti.
Il leone che vidi aveva una bocca irta di denti e una testa finemente loricata come quella dei serpenti, il corpo immane che si reggeva su quattro zampe dalle unghie puntute e feroci, assomigliava nel suo vello a uno di quei tappeti che più tardi vidi portare dall’Oriente, a scaglie rosse e smaragdine, su cui disegnavano, gialle come la peste, orribili e robuste trabeazioni d’ossa. Gialla era pure la coda, che si attorceva dalle terga su su sino al capo, terminando con un’ultima voluta in ciuffi bianchi e neri» (p. 243).