Dopo quanto detto nelle immagini precedenti è curioso che il titolo del romanzo si colleghi, involontariamente, proprio all’errore compiuto da un copista. Ma andiamo con ordine.
Molte sono state le interpretazioni che i critici hanno dato al titolo del romanzo. Eco all’inizio delle Postille dichiara di avere compiuto questa scelta proprio perché la rosa, «figura simbolica così densa di significati da non averne quasi più nessuno», permetteva il proliferare di interpretazioni. Cosa che non sarebbe successa con altri titoli meno evocativi, come per esempio il «titolo di lavoro, che era L’abbazia del delitto» (p. 508).
Il nome della rosa è un riferimento a un verso di un poema in latino del XII secolo, intitolato De contemptu mundi e composto da un monaco di cui poco si sa, Bernardus Morlanensis (conosciuto e indicato anche con altri nomi). Si tratta del v. 952 del primo libro del poema (che conta circa 3.000 versi suddivisi fra un prologo e tre libri):
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus
Lo vediamo indicato dalla freccia in un’edizione del poema pubblicata nel 1754, in cui sono raccolti anche altri testi poetici che denunciano il corrotto stato della Chiesa (il volume è leggibile integralmente online). L’opera infatti è rappresentante di un vero e proprio genere letterario, quello appunto del “disprezzo del mondo” denunciato dal titolo, che punta il dito da una parte sulla decadenza del mondo contemporaneo - a partire dalle istituzioni ecclesiastiche - dall’altra sulla vanità delle cose terrene, destinate a perire e delle quali ci rimarranno solamente i «nudi nomi». La rosa diventa quindi emblema di caducità degli oggetti, anche dei più belli e preziosi, e per analogia di tutte le passioni e le glorie della nostra vita materiale.
Identificare il riferimento al poema amplia ancora di più le possibili interpretazioni del titolo, ma tutta questa potenza evocativa nasce, in sostanza, dall’errore di un anominmo copista, come vedremo nella prossima immagine.
[Bernardus Morlanensis], De contemptu mundi, in Matija Vlačić, Varia doctorum piorumque virorum de corrupto ecclesiae statu poemata, [S.n., s.l.], 1754, p. 226-370.