La grande guerra
@ Piazza Maggiore e BarcArenaBologna
(Ita-Fra/1959) di M. Monicelli (129’)
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Sono molti i motivi che hanno contribuito a fare della Grande guerra un caposaldo del cinema italiano: il coraggio e l’esattezza, allora rari e da più parti sgraditi, con cui mostra il conflitto del 1915-18 come un calvario nemmeno sfiorato dalla retorica falsificante (“il capovolgimento dell’immagine di una guerra eroica, intangibile, enricototesca”, nelle parole del regista); il perfetto gioco d’equilibrio tra commedia e dramma ordito da Monicelli, Age e Scarpelli; la gara di bravura tra Sordi e Gassman, affiatatissimi e complementari; la profondità umana che scaturisce dalla pletora dei “personaggi di contorno” (Mangano, Blier, Lulli, Murgia...). Ma quel che più ci piace sottolineare, è l’impressione, ancora oggi intatta, di grande cinema, capace di sfidare apertamente gli americani sul piano della forza delle immagini, facendo dello schermo un universo in cui gli occhi non finiscono più di esplorare, e da cui il racconto sembra sorgere come naturale conseguenza. È questa una prerogativa degli uomini di cinema più grandi.
Andrea Meneghelli
L’impostazione satirica di La grande guerra faceva parte di mie precise convinzioni. Dal momento che mi ritrovavo per le mani quel soggetto non potevo, che girarlo in quel modo, e non a caso scelsi Sordi e Gassman che aveva avuto un successo clamoroso nei Soliti ignoti. Per questo lavoro ebbi delle grandi difficoltà perché era un film che doveva essere comico, malgrado i morti e tutto il resto, e la produzione, il noleggio e la distribuzione non volevano assolutamente accettare che i due protagonisti, due comici, finissero fucilati, dato che nei film comici esiste la regola del lieto fine. Ci fu una lunga lotta per fare accettare questa innovazione. A ogni riunione tutti votavano pollice verso. All’inizio non ero d’accordo su una coppia d’attori, volevo un solo protagonista al centro della storia, ma pian piano mi sono convinto, anche perché il richiamo spettacolare di Sordi e Gassman era allora molto ma molto grosso. Ma il film è rimasto, credo, un film corale, e un film su una massa di gente, soprattutto di origine contadina, che per quattro anni combatte una guerra assurda. Non ebbi difficoltà con gli attori, ma piuttosto con il produttore, che mi tempestava di telegrammi durante la lavorazione perché voleva che Sordi e Gassman campeggiassero di più, emergessero di più. E devo dire che anche la campagna di stampa che si scatenò all’annuncio del film poi si placò, anche perché ci furono letture della sceneggiatura da parte di alti militari, iniziative varie, di De Laurentiis, e i contrasti vennero messi a tacere da un’ala più ‘illuminata’ che aveva capito il significato del finale. Ma ancora toccare Caporetto era un tabù, e la grande guerra era avvolta nella retorica più fastidiosa e sciocca.
Mario Monicelli