Esisteva da tempo in Bologna, e non senza onore, una scuola di studi liberali; tra questi ammesso, secondo l'usanza italiana, il diritto. Vi lesse leggi un Pepo, ricordato tra il 1076 e il 1078 come dottore e avvocatore in presenza della contessa Matilde. Vi insegnava arti, cioè grammatica e dialettica, Imerio. Poi, quando furono trasportati a Bologna i libri legali di Ravenna, cioè, quando, oscurata la scuola ravennate, la tradizione e il metodo passò a Bologna, Irnerio cominciò prima a studiare indi a insegnare su quei libri o vero con quel metodo; fin che rinnovò, come portan le croniche, i libri delle leggi e divenne esso lucerna del diritto.
(G. Carducci, da Lo Studio bolognese. Discorso per l'VIII Centenario)
Il palazzo e la biblioteca
Il palazzo dell'Archiginnasio fu costruito fra il 1562 ed il 1563 per volere del Legato Carlo Borromeo e del Vicelegato Pier Donato Cesi, su progetto dell'architetto Antonio Morandi, detto il Terribilia. Lo scopo era di dare una sede unitaria all'insegnamento universitario, fino ad allora diffuso in vari luoghi della città.
La costruzione si sviluppa su piazza Galvani con un lungo portico di trenta archi e si articola su due piani intorno ad un cortile centrale a doppia loggia. Due scaloni conducono al primo piano, che ospita dieci aule di lezione e due aule magne alle estremità del fabbricato, una per gli Artisti e una per i Legisti. Le sale, gli scaloni e i loggiati sono tutti decorati dagli stemmi degli studenti e dai monumenti celebrativi dei professori dello Studio.
Durante il periodo napoleonico diventò sede del Circolo Costituzionale, il maggiore centro di aggregazione dei giacobini bolognesi, creato per combattere superstizione e ignoranza, "consolidare la libertà e sollevare il Popolo".
Nel 1803, pur con molte resistenze, l'Università abbandonò l'Archiginnasio e si insediò in Palazzo Poggi, sede dell'Istituto delle Scienze, in via San Donato.
Nel 1808 un decreto del Viceré mise a disposizione del Municipio il palazzo dell'Archiginnasio per le Scuole comunali e Normali. In precedenza un'Unione ebraica si era offerta di comprare l'edificio per farne una Sinagoga.
Il 21 dicembre 1835 il Consiglio municipale deliberò il trasferimento nel palazzo dell'Archiginnasio della biblioteca pubblica. Creata nel 1801 dall'amministrazione del Dipartimento del Reno, e divenuta "comunitativa" nel 1806, essa fu ospitata all'inizio nel convento di San Domenico. Ricevette i fondi non utilizzati dalla Biblioteca Nazionale e i volumi della libreria dei padri Barnabiti o libreria Zambeccari. Con la donazione della collezione dell'abate Magnani, appassionato bibliofilo, assunse le dimensioni di un importante istituto culturale. Il trasloco dei libri nella nuova sede avvenne nel corso del 1837. Tra i primi collocatori vi fu il patriota e commediografo Agamennone Zappoli, tornato a Bologna dopo il 1845 grazie all'amnistia di Pio IX.
Nel 1858 Luigi Frati fu eletto bibliotecario. Diede alla biblioteca dell'Archiginnasio una nuova impostazione, fondendo le varie raccolte e organizzandole per materie. Sotto la sua direzione il patrimonio bibliografico salì a oltre 250.000 volumi, con materiale di grande importanza storica. Sua fu inoltre la redazione della Bibliografia bolognese, pubblicata nel 1888.
Il suo posto fu preso nel 1904 da Albano Sorbelli, che fu anche fondatore della biblioteca popolare e dal 1921 direttore della biblioteca e museo Carducci. Nei quarant'anni della sua conduzione, il patrimonio della biblioteca aumentò prodigiosamente, anche grazie a lasciti di grande valore.
Carducci e l'Archiginnasio
Carducci fu assiduo frequentatore della biblioteca dell'Archiginnasio, dove trovava codici ed edizioni antiche fondamentali per i suoi studi.
Strinse rapporti di amicizia con il direttore Luigi Frati, al quale successe come segretario della Deputazione di Storia Patria e che sostenne dal 1869 come componente della Commissione per la "sorveglianza dei lavori di riordinamento e sistemazione della Biblioteca".
Il 12 giugno 1888, nel cortile dell'Archiginnasio, il professore-poeta pronunciò, davanti a re Umberto I e alla regina Margherita, l'orazione ufficiale per l'VIII Centenario dell'Alma Mater, dal titolo Lo Studio di Bologna. Il cortile, cancellato il suo aspetto rinascimentale, assunse quello "di un locale di stile indefinibile": apparve infatti ricoperto da un velario bianco e rosso e ornato di decine di bandiere e mazzi di fiori. Il discorso di Carducci, vero e proprio manifesto politico del mito dell'Alma Mater, fu spesso interrotto da acclamazioni entusiastiche e fu subito stampato dalla Libreria Zanichelli.
Il 9 febbraio 1896, nella Sala dello Stabat Mater, Carducci fu festeggiato per i 35 anni di insegnamento all'Università. Per l'occasione il Comune di Bologna gli conferì la cittadinanza onoraria. Lui volle commemorare "i grandi maestri della Patria", quali Vico e Foscolo, costretti a "invecchiare in tristezza povera, spegnersi nella desolazione del miserevole esilio".
Ormai alla fine della sua vita, partecipò alla commissione di concorso che nel 1904 nominò il suo ex allievo Albano Sorbelli a nuovo direttore dell'Archiginnasio.
Frequentatori del Novecento
Tra gli assidui frequentatori dell'Archiginnasio nel '900 vi fu Pier Paolo Pasolini, che cita spesso la biblioteca nelle sue lettere. In occasione della tesi, fu il suo relatore, il prof. Calcaterra, a far da mallevadore per il prestito di libri.
Il suo amico - e sodale nell'avventura della rivista "Officina" - Francesco Leonetti, lavorò per breve tempo all'Archiginnasio e alla Malatestiana di Cesena.
- L'Italia a Bologna. Lettere di Matilde Serao per le feste del 1888, a cura di Valerio Montanari e Giancarlo Roversi, Bologna, Alma Mater studiorum saecularia nona, CLUEB, 1988, pp. 54-57
- Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol.1. pp. 35-42
- Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 126-127
- Athos Vianelli, Profili di bolognesi illustri, Bologna, Tamari, 1967, p. 120